È noto a tutti i clinici che, per qualunque patologia, la diagnosi ed il trattamento precoce rappresentano una strategia fondamentale per migliorare l’outcome del paziente. Anche in reumatologia questo è assolutamente vero e dimostrato da numerosi studi pubblicati in letteratura negli ultimi 20 anni, specie per quanto riguarda le artriti croniche infiammatorie. In artrite reumatoide (AR) diversi studi dimostrano come una diagnosi precoce, entro 3 mesi dall’esordio e l’inizio tempestivo di un trattamento efficace rappresentino il fattore prognostico più rilevante per ottenere l’obiettivo terapeutico primario, rappresentato dalla remissione clinica di malattia (1). Allo scopo di migliorare quanto più possibile la possibilità di vedere i pazienti il più presto possibile, sono stati istituiti in Italia e nel resto del mondo dei modelli assistenziale denominati “early arthritis clinics” in cui i pazienti vengano visti rapidamente, superando l’eventuale lista di attesa, e vengano immediatamente sottoposti ad accertamenti diagnostici e prognostici e possano quindi iniziare quanto prima una terapia adeguata. Per favorire l’invio dei pazienti al reumatologo sono stati identificati dei segni clinici che possano aiutare il medico di medicina generale ad identificare quanti pazienti (2). I segni e sintomi principali sono la presenza di 3 o più articolazioni tumefatte da almeno 6 settimane, rigidità mattutina superiore a 30 minuti e coinvolgimento delle articolazioni metacarpofalangee o metatarsofalangee (squeeze test positivo)

I problemi da affrontare per ridurre quanto più possibile il gap temporale tra l’esordio dei sintomi e la valutazione reumatologica sono numerosi, tra cui possiamo ricordare l’incertezza nel riconoscere segni e sintomi di malattia all’esordio, l’accesso limitato al reumatologo e la scarsa collaborazione professionale, con conseguente ritardo fino a un anno (3). Nonostante l’esistenza di queste strutture dedicate in molti centri in Italia, la situazione non è purtroppo ideale, con una quota rilevante di pazienti ancora senza una diagnosi e quindi senza un trattamento adeguato a 9 mesi dall’esordio, come documentato da uno studio italiano pubblicato recentemente condotto sotto l’egida della Società Italiana di Reumatologia (4). La pandemia ha poi ulteriormente peggiorato la situazione (5). La necessità di una diagnosi precoce e soprattutto di un trattamento precoce sono da tenere in considerazione anche nelle artriti ad insorgenza in età pediatrica e nell’artrite idiopatica giovanile (AIG) in particolare. Le nuove strategie terapeutiche in questa patologia sono riviste nell’articolo di Marco Burrone in questo numero della rivista, ed è chiaro che anche in questi pazienti esiste la necessità di arrivare ad una diagnosi il prima possibile per poi iniziare una terapia efficace e applicare la strategia “treat to target”, cercando di ottenere e mantenere uno stato di buon controllo di malattia e possibilmente di remissione.

La problematica della diagnosi precoce è ancora più evidente, se pur probabilmente meno discussa, nelle spondiloartriti, in particolare nelle forme assiali (6). Infatti, in queste patologie, il sintomo d’esordio è solitamente rappresentato dalla lombalgia, sintomo estremamente frequente nella popolazione generale e spesso sottovalutato. È essenziale conoscere quali sono le caratteristiche della lombalgia cosiddetta infiammatoria, che ci permette di identificare i pazienti con probabile spondiloartrite assiale. Le caratteristiche di questa lombalgia sono: dolore presente a riposo con miglioramento dopo attività fisica, rigidità, comparsa in soggetti con età inferiore di 45 anni. All’interno di questo gruppo di patologie è stata recentemente identificata la cosiddetta spondilite assiale non radiografica (7).

In questi pazienti la diagnosi precoce, in assenza di lesioni radiologiche evidenti, rappresenta una importante sfida per il reumatologo e una grande opportunità per il paziente. L’uso della risonanza magnetica, assieme alla valutazione clinica, rappresenta certamente un grande vantaggio ma deve essere utilizzata solamente nei casi con chiaro sospetto clinico ed interpretata da radiologo e reumatologo esperti. Il contributo di Chiara Crotti, in questo numero della rivista, ha l’obiettivo di fare il punto sulle caratteristiche di questa patologia e su un corretto iter diagnostico particolarmente rilevante in questa patologia.

Praticamente tutte le patologie reumatologiche sono caratterizzate dalla presenza di dolore, che può essere localizzato o diffuso, articolare, osseo o muscolare, acuto o cronico, infiammatorio o meccanico. La distinzione tra i diversi tipi di dolore è molto importante per un primo approccio diagnostico. Esiste però anche il problema del dolore da sensibilizzazione centrale. Nei pazienti adulti capita molto spesso che, nonostante l’infiammazione legata alla malattia sia ben controllata, rimane una quota rilevante di dolore che impatta sulla qualità della vita del paziente e che non è strettamente legato alla malattia. In questi casi è assolutamente indispensabile evitare di modificare la terapia di base della malattia ma cercare di agire direttamente sulla componente dolore. Nel contributo di Giulia Comola si affronta un problema simile che possiamo trovare nel paziente in età pediatrica: la sindrome da amplificazione del dolore muscoloscheletrico. Nel lavoro vengono sottolineate le caratteristiche di questa problematica e i possibili provvedimenti terapeutici.

 

 

 

Bibliografia

  1. Gremese E, Salaffi F, Bosello S, Ciapetti A, Bobbio-Pallavicini F, Caporali R, Ferraccioli G. Very early rheumatoid arthritis as a predictor of remission: a multicentre real life prospective study. Ann Rheum Dis. 2013; 72: 858–62.
  2. Emery P, et al. Early referral recommendation for newly diagnosed rheumatoid arthritis: evidence-based development of a clinical problem. Ann Rheum Dis 2002; 61: 290-7.
  3. De Cock D, et al. The perspective of patients with early rheumatoid arthritis on the journey from symptom onset until referral to a rheumatologist. Rheumatol Adv in Pract 2019; 0: 1-8.
  4. Benaglio F, Fornaro M, Montecucco C, Iannone F, Caporali R. Methotrexate in Italian patients with Rheumatoid Arthritis (MITRA study. Clin Exp Rheumatol 2021; 39: 1077-84
  5. Dejaco C, et al. Influence of COVID-19 pandemic on decision for the management of people with inflammatory rheumatic and musculoskeletal diseases: a survey among EULAR countries. Ann Rheum Dis 2021; 80: 518-26
  6. Rudwaleit M, van der Heijde D, Landewe R, Listing J, Akkoc N, Brandt J, et al. The development of Assessment of SpondyloArthritis international Society classification criteria for axial spondyloarthritis (part II): validation and final selection. Ann Rheum Dis. 2009; 68: 777-83
  7. Benavent D, Navarro-Compan V. Understanding the paradigm of non-radiographic axial spondyloarthritis. Clin Rheumatol. 2021; 40: 501-12.

 

Roberto Caporali

Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità Università di Milano; Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche ASST PINI-CTO, Milano

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