L’infezione sostenuta da SARS-CoV2 (COVID19) ha ad oggi comportato in tutto il mondo un forte impatto in termini di morbidità e mortalità. Nella maggior parte dei casi (80%) l’infezione decorre in modo moderato, mentre nel 5% dei casi può presentare un decorso potenzialmente critico e severo. Ad oggi è noto come una quota non trascurabile di tutti questi pazienti con COVID19 possa sviluppare la sindrome post-covid, caratterizzata dalla persistenza/comparsa ex novo di vari sintomi con durata variabile da settimane a vari mesi.
Nella infezione sostenuta dal virus SARS-CoV2 si possono così riconoscere due fasi, una acuta che normalmente comporta sintomi di varia natura e severità (respiratori, gastro-intestinali, muscolo-scheletrici, sistemici) con durata media di 7/10 gg nei casi ad espressione moderata e più prolungata nei casi più severi, e una fase cronica, caratterizzata dalla persistenza di sintomi nonostante la guarigione dalla infezione vera e propria (ovvero la negativizzazione del tampone rino-faringeo). In altre parole, la sindrome post-covid rappresenta quella fase sintomatica compresa tra la guarigione “microbiologica” (clearence virale) e la completa guarigione clinica. La sindrome post-covid può presentare un decorso cronico continuo oppure un andamento “relapsing/remitting” con pousse, e può essere caratterizzata dalla persistenza di sintomi pre-esistenti o dalla comparsa ex novo di nuovi disturbi.
Tale sindrome può colpire potenzialmente tutti i pazienti che hanno contratto COVID19, tendenzialmente con una intensità e durata che sono proporzionali alla severità dell’iniziale quadro infettivo. Uno studio italiano ha riportato una prevalenza di long-covid del 87% nei pazienti ospedalizzati e del 35% nei pazienti che hanno presentato una infezione mild.
Secondo i dati più recenti i sintomi maggiormente prevalenti sono rappresentati da fatigue (58%), cefalea (44%), disturbi attentivi (27%), defluvium capillorum (25%), dispnea (24%). Globalmente si possono riconoscere tre prevalenti pattern di espressione della sindrome post-covid, sulla base della sintomatologia prevalente: post-covid cardio-respiratorio, post-covid fatigue syndrome, post-covid neuro-psichiatrico. Si possono tuttavia riconoscere altri possibili clusters, tra cui il post-covid gastro-intestinale, epato-biliare, muscolo-scheletrico, genito-urinario, trombo-embolico, dermatologico, multi-sistemico.
Tra i principali fattori di rischio associati alla sindrome post-covid si riconoscono ad oggi il sesso femminile, l’età avanzata (prevalenza del 26% nella fascia di età 18-34 anni, mentre del 47% in caso di età superiore a 50 anni), la presenza di comorbidità, tra cui obesità e disordini psichiatrici pre-esistenti. Dal punto di vista eziopatogenetico, non è stato ancora chiarito l’esatto meccanismo che sottenda la sindrome post-covid, ma è stata ipotizzata la compresenza di diversi fattori, tra cui l’estensione e la gravità del danno d’organo provocato dalla infezione (ad esempio la fibrosi a livello polmonare), la persistenza di infiammazione cronica, l’induzione di meccanismi disimmuni/autoimmuni con produzione di autoanticorpi, la persistenza (rara) della infezione e/o la reinfezione, gli effetti aspecifici e generici della ospedalizzazione stessa (critical illness, post-intensive care syndrome), complicanze relate a comorbidità e/o farmaci adoperati.
In particolare la individuazione del virus a livello del liquido cefalo-rachidiano suggerisce la sua neuro invasività con conseguente possibilità di alterazione morfologico-funzionale della barriera emato-encefalica in pazienti che hanno presentato COVID19. Questo potrebbe ad esempio giustificare la persistenza di sintomi quali la cefalea, i disturbi attentivi e di concentrazione, i tremori e il rallentamento cognitivo (brain fog). Da non sottovalutare poi come molti di questi pazienti necessitino della nostra valutazione reumatologica a causa della persistenza/comparsa ex novo di artralgie, mialgie, fatigue, comparsa di autoanticorpi più o meno associati a sintomatologia specifica, diatesi trombofilica. La diagnosi di sindrome post-covid si basa su criteri preliminari (Criteri di Raveendran) che includono un criterio essenziale, ovvero sulla evidenza di una precedente infezione da SARS-CoV2 entro le ultime 2/4 settimane (infezione sintomatica/asintomatica confermata, probabile, possibile, dubbia), sul criterio clinico (presenza di sintomi suggestivi, sul criterio temporale. La gestione di questi pazienti è tuttora difficile e sfidante e necessita assolutamente di un approccio multidimensionale di tipo sintomatico, fisioterapico, psicologico e occupazionale. Ci troviamo pertanto di fronte ad una nuova condizione morbosa, la cui recente comparsa rende ancora oggi difficile la valutazione del corretto e specifico approccio terapeutico e della possibile evoluzione nel lungo termine. Importante e fondamentale risulta il ruolo del Reumatologo nella diagnostica e nella diagnostica differenziale di questo quadro clinico.

 


Raveendran AV, et al.

Long-COVID: an overview.

Diabetes & Metabolic Syndrome 2021